Vi presento il mio sito, uno spazio da condividere.
Mi piace immaginarlo come un salotto, ospitale, rassicurante e arredato con cura, che accoglie idee, pensieri, riflessioni.
Era nel fondo del cassetto, tra i miei sogni. Uno dei, perché in quel
cassetto ce ne sono ancora diversi. C’è sempre un motivo, un’emozione che spinge ad agire e la spinta è stato il mio romanzo, “Un modo lo trovo”.
Dare voce alle emozioni che cercavo all’interno di quella parentesi, emozioni vere, nude, irriverenti e invisibili agli occhi del mondo. Questo era il mio obiettivo, niente di più, volevo dare forma e voce alle montagne russe generate da quel caos emotivo, capace di spezzare il fiato e ondeggiare nei vuoti d’aria.
Incredibile, sembra che si trovi il modo anche di governare il vuoto d’aria!
Per me, una grande emozione vedere gli appunti di quel caotico block notes rosso dentro un romanzo.
Un’emozione che desidero chiarire più che descrivere attraverso un’idea che mi gira intorno da un po’: raccogliere le sensazioni delle donne che hanno vissuto in quella parentesi, confrontarsi sulla differenza nel trattare, osservare, vivere, curare la malattia.
Scrivere, è un modo per avvicinarsi alla lenta guarigione psichica, la più penosa, almeno fino a quando non se ne comprenda il significato: non si torna a prima di quel mentre, ma cambia la condizione. Non mi sento di inneggiare alla malattia come a una rinascita, la malattia è un mezzo attraverso il quale il corpo comunica una sofferenza, è un semaforo che lampeggia sul rosso per invitarci a soffermarci su noi stessi. Principio questo, indiscutibile per noi psicologi e non solo.
Perciò, la malattia è una contraddizione, perché è capace di appannare l’istinto di sopravvivenza tanto quanto di liberarne l’impulso a vivere, se ascoltata.